lunedì 31 dicembre 2007

I miei ospiti pennuti

Codibugnolo (Aegithalos caudatus) Fonte: Wikimedia, foto Marek Szczepanek, licenza GFDL

Come ogni inverno ho allestito in giardino una mangiatoia per uccelli: un lungo palo antigatto con in cima un largo contenitore forato che riempio quotidianamente di mangimi vari. A qualche ramo appendo i "canederli per cince" (foto Luc Viatour), palle di grasso imbottite di semi, molto gradite dagli insettivori. Da non scordare una ciotola di acqua, soprattutto quando gela e in giro è difficile trovare dove abbeverarsi e per quanto freddo faccia c'è sempre un merlo che fa il bagno. Apprezzatissima anche una mela.

Ogni anno arriva una banda di pennuti: decine di passeri, verdoni, sempre pronti a litigare fra loro, merli, fringuelli (per loro devo distribuire una manciata di semi in terra: sono terricoli, non amano la mangiatoia sul palo); agilissime cinciarelle e cingallegre che fanno vere evoluzioni appese ai loro canederli a testa in giù, alcuni pettirossi che per l'occasione depongono l'ascia di guerra e scordano le dispute territoriali.

Quest'anno, graditissima new entry, un gruppo di una decina di minuscoli codibugnoli: corpicini grossi come una noce, codone lunghe il doppio di loro, piccoli folletti piumati che si fermano il tempo di un sospiro: difficilissimo fotografarli. Golosi di frutta, si stanno spazzolando i cachi che ho lasciato per loro sull'albero.

Al calar del sole il boschetto di bambù e l'alloro diventano un chiassoso condominio di pennuti che si litigano rumorosamente il rametto migliore.

domenica 30 dicembre 2007

Sette

Charlie Chaplin - Tempi Moderni

E' morto il settimo operaio della Thyssen-Krupp: Giuseppe Demasi, 26 anni.

Ci sarà uno, dico UNO dei responsabili che domani starà a casa a piangere invece che correre al cenone di capodanno? Uno che ci penserà a mezzanotte fra una coppa di champagne e un botto?

"Nei confronti dei dirigenti della multinazionale tedesca ThyssenKrupp pende un procedimento penale al Tribunale di Torino per l'incendio che nel marzo del 2002 devastò una parte dello stabilimento di Torino della Acciai Speciali Terni, lo stesso dove è morto un operaio ed altri nove sono rimasti feriti." (fonte: l'Unità)

Buon anno? Buon anno un cazzo! Scusatemi.

SAT e Paganella: una lettera

Logo di "Questotrentino"

Accorata lettera del Consiglio Centrale della SAT sull'ultimo numero del quindicinale "QuestoTrentino", per motivare la decisione di abbandonare la manutenzione dei sentieri sulla Paganella.

Qualche stralcio:

" [...] Con questa scelta vogliamo rilevare con forza non un possibile pericolo ma un dato di fatto: il sentiero è ormai diventato, in una visione post-moderna e quindi virtuale della realtà, un qualcosa di marginale e d’inutile.

Ecco allora le mountain bike su sentieri "impossibili", i quad, i fuoristrada, le moto non solo a Fuchiade o sul Lagorai senza che nessuno senta la necessità di intervenire con decisione.

[...] 

Di fronte ad un’attenzione costante che impegna annualmente centinaia di volontari che prestano gratuitamente la loro opera per migliaia di ore, assistiamo ad una sorte di schizofrenia da parte pubblica, che da un lato parla (ed a volte opera) in favore della sentieristica, e dall’altra non mostra alcuna attenzione a scelte fatte e approvate.

Così la legge che disciplina la circolazione delle mountain bike su determinati sentieri è annacquata e sostanzialmente elusa, così il protocollo firmato con il Consorzio dei Comuni, (che nell’occasione ha dimostrato grande sensibilità), ignorato dai comuni stessi, così come l’intesa per l’adozione di uno standard unico per la segnaletica dei sentieri di montagna e nei fatti disatteso da molti enti locali.

Tutto ciò mentre assistiamo ad una privatizzazione strisciante di alcuni sentieri posti sì all’interno di proprietà private, ma di fatto disponibili per la comunità senza che nessuno, nella sfera pubblica, muova un dito per difendere diritti storici acquisiti.

La rinuncia ad operare ancora sulla Paganella, a cui tanta storia della SAT, dell’alpinismo, del Trentino è legata, deriva da una constatazione semplice:

La Paganella non è una bestia da soma.

Non ci può stare su tutto, un turismo che altera irrimediabilmente i luoghi, i paesaggi, le memorie e contemporaneamente un turismo che basa la propria azione sul concetto di sostenibilità. [...]

La SAT, dopo la decisione di devastare l’ennesima porzione della montagna, ha scelto di andare via, lasciare una montagna alla quale siamo legati da una storia quasi secolare. Con grande tristezza, ma con la convinzione che non sia più possibile accettare, senza reagire, decisioni politiche e logiche imprenditoriali che evidenziano limiti enormi di lungimiranza.

Questa decisione non sarà un episodio isolato; qualora accadessero casi analoghi di scarsa considerazione nei confronti delle reti sentieristiche, la SAT non sprecherà più il lavoro gratuito e volontario dei suoi soci."

Qui il testo integrale della lettera.

Bella pubblicazione, peraltro, QuestoTrentino: c'è tanto materiale interessante da perdersi.

venerdì 28 dicembre 2007

Sternsinger

Foto dal sito tirol.com

Stamattina sono arrivati a casa mia gli Sternsinger, i Cantori della Stella: 3 ragazzini (ragazzine questa volta) vestiti da Re Magi e un "portatore della Stella". E' una vecchia tradizione dei paesi di lingua tedesca. Dopo Natale e fino all'Epifania gli Sternsinger girano di casa in casa, annunciano cantando la Buona Novella, chiedono al Signore una benedizione speciale per la casa, regalano un pizzico di incenso. In cambio chiedono un piccolo dono, qualche dolcetto, un'offerta. Un po' come i bimbi veneziani a S.Martino, o "dolcetto o scherzetto" di Halloween.

Segno della loro visita, la scritta "20 + C * M * B + 08" tracciata col gesso benedetto sulla porta di casa. La scritta ha questo significato: i Magi sono passati di qui e hanno chiesto la benedizione di questa casa. Infatti: 20 e 08 è l'anno del loro passaggio; C*M*B vuol dire: "Christus mansionem benedicat" e nel contempo sono le iniziali dei 3 magi: Caspar, Melchior, Balthasar. Quante volte l'avete visto scritto sull'architrave di qualche maso in Alto Adige, senza capirne il significato? :)

Da diversi anni i Magi non raccolgono più dolcetti per sé ma fanno parte di un'organizzazione cattolica che investe le offerte in opere pratiche per bambini poveri al motto di "Kinder helfen Kinder … und ich bin dabei" (Bambini che aiutano bambini, e ci sono anch'io)


giovedì 27 dicembre 2007

L'ordalia di Malga Movlina (TN)

Dieric Bouts il vecchio - La Prova del Fuoco di Ottone III -  Fonte Wikimedia, licenza Copyleft

Malga Movlina è situata al centro di una magnifica balconata sopra la Val Rendena (TN) accanto a ricchi e fertili pascoli ai piedi del Gruppo di Brenta, vicino al sentiero che porta al rifugio XII Apostoli. Questa sua posizione privilegiata la pose al centro di sanguinose battaglie ai tempi delle lotte pastorali per il possesso dei pascoli migliori.

Dopo anni di zuffe e violenze di ogni tipo fra gli abitanti del Bleggio e i Rendeneri, fallita anche la mediazione del Principe Vescovo Eberardo (testacce dure da quelle parti!), si ricorse all'Ordalia, ovvero al giudizio di Dio. Un combattimento all'ultimo sangue fra due campioni scelti dalle due comunità avrebbe definito, per sempre, la disputa. Uno solo dei due ne sarebbe uscito vivo.

Qui le cose si fanno un po' confuse: in qualche antica testimonianza si legge che i due si incontrarono alla Movlina davanti allo stesso Vescovo e al Notaio Olderico (rimane il ricordo del toponimo "Pozza della Battaglia"), in un'altra pare che lo scontro sia avvenuto sulla piazza della Pieve di Rendena, presenti Enrico, delegato di Eberardo, un garante per parte e una schiera di militari per tenere a bada la grande folla.

Fra storia e leggenda si racconta che per la difficile prova vennero scelti il giovane Odorico per il Bleggio e Sigfrido di Vadaione, ex armigero dei conti di Arco, per difendere le ragioni della val Rendena.

Il 6 giugno del 1155 venne celebrata una messa, benedette le spade e gli scudi, i due campioni giurarono davanti a Dio lealtà e spirito di cavalleria e scesero in campo coperti da una leggera armatura.

La lotta fu piena di colpi di scena, con gravi ferite da entrambe le parti, sangue sparso ovunque, alterne fortune. Alla fine Sigfrido di Valdaione, per proteggersi un fianco spostò lo scudo scoprendo la gola: Odorico, veloce come un gatto, ne approfittò e non sbagliò il colpo: Dio aveva deciso, malga Movlina era del Bleggio.

Ovviamente, risolta questa, trovarono altri modi per litigare: per esempio il possesso della malga di Valagola.

L'Ordalia della malga Movlina è uno dei pochissimi "Giudizi di Dio" del quale si abbiano riscontri in documenti ufficiali.

sabato 22 dicembre 2007

Natale 1945 (Mario Rigoni Stern)

Più che la neve che doveva calpestare durante il giorno, era il freddo della notte che gli rendeva duro quel tempo.
Partiva quando il chiarore dell’alba compariva sulle rocce dell’alta montagna dal bel nome che gli stava di fronte: l’ondata del sole toccava poi via via tutte le montagne intorno. Restavano, però, sempre in ombra alcuni versanti e il fondovalle, e i boschi in basso dove il sole sarebbe arrivato solo a marzo. Lì la neve rimaneva sempre appesa alle rocce e agli alberi dando sensazione di freddo fossile.

Camminava su per l’erta fin dove il grande bosco confinava con i pascoli delle malghe più alte e dove il debole sole di dicembre dolcemente lo riscaldava.
Era questo il posto dove l’anno prima i tedeschi della Todt avevano fatto tagliare gli alberi più alti e più belli per rifare i ponti sul Po che ogni volta venivano distrutti dai bombardamenti degli Alleati o dai partigiani.
Ora erano rimasti i grossi ceppi ultracentenari, pesanti e compatti, abbarbicati alla montagna e cementati dal gelo.

Vi saliva portando sulle spalle la slitta leggera e solida, il cibo per un pasto, una borraccia d’acqua, il badile, il piccone, le scuri e gli altri attrezzi li lasciava lassù ai piedi di un abete che aveva i rami fitti e larghi che formavano una capanna sotto il livello della neve.

Un’ora e mezza di salita al mattino, mezz’ora di discesa nel pomeriggio con tre quintali di ceppi sulla slitta. Gli scarponi e le gambe sino alle ginocchia erano protetti con teli di sacco.
Quando arrivava in quell’ultimo bosco, con un ramo di citiso lungo ed appuntito forava lo strato di neve per saggiare se sotto il rialzo c’era un ceppo oppure un sasso; con il badile spalava la neve per denudare il terreno e con il piccone scavava per liberare le radici; con le scuri le tagliava e, infine, con la leva rovesciava il ceppo. I ceppi troppo grandi, prima di sradicarli, li spaccava in quarti o in ottavi con i cunei di ferro e la mazza. A volte faticava molto con poco risultato, altre volte con poca fatica riusciva a fare due carichi con la slitta sino in fondo alla valle, dove in primavera avrebbe potuto vendere mille quintali di legna, o forse più, per le fornaci delle vetrerie. E con il ricavato pagare il debito e il viaggio per l’Australia.

Era rientrato in ottobre dopo aver fatto un lungo giro per l’Europa orientale. L’avevano preso i fascisti durante un rastrellamento nel settembre del '44. Processato, l’avevano condannato a morte per “banditismo” e la condanna cambiata poi con la deportazione a vita in Germania.
In qualche modo se l’era cavata, ma ritornato a casa troppe cose trovò cambiate nel giro di un anno; sua madre non c’era più, e non se la sentiva di vivere in quella casa.
Ma vivere doveva. Decise allora di andare dal santolo Toni che aveva bottega di alimentari. – Santolo – disse -, voi sapete come mi è andata; non ho che poche lire che mi hanno dato al Distretto Militare ma ho tanta voglia di lavorare. Se mi fate credito in primavera pagherò tutto.

Ebbe lardo, farina da polenta, formaggio tarato, orzo, pasta e conserva di pomodoro. Un po’ di patate le ebbe in carità da una famiglia della contrada; barattando due lepri prese con il laccio riuscì ad avere tre chili di sale. Prima delle nevicate caricò tutto il suo avere sul carro di un amico che andava a sboscare, per conto del Comune, l’ultimo legname abbandonato dai tedeschi.

Nella vecchia osteria semidistrutta, sotto un tetto riparato alla meno peggio sopra le travi bruciacchiate, in quell’autunno del 1945 trovarono rifugio boscaioli, bracconieri, cavallari e reduci allo sbando. Ma dopo le prime nevicate tutti se ne andarono per non restare bloccati, e si ritrovò solo. Non gli dispiaceva: poteva parlare con le cose che gli stavano attorno, e lavorare come gli pareva, e pensare e meditare su quanto gli era capitato in quegli anni, da soldato in Albania, da partigiano sulle montagne, da condannato a morte, da deportato, da vagabondo dopo che il Lager era stato liberato dai soldati russi.

I giorni di sole con il freddo intenso, i giorni di neve uniformi e come sommersi fuori dal tempo, il suo fuoco, il silenzio.
E la sua fatica e il sonno profondo sullo strame di paglia accanto al fuoco che si spegneva sulle pietre del focolare dove, per secoli, avevano trovato compagnia i viandanti e i contrabbandieri. Non sapeva il trascorrere dei giorni; aveva,sì, con il coltello, incisa una tacca sul ramo di un abete ogni mattina che risaliva il sentiero scavato nella neve come una trincea, ma non ricordava più con precisione il giorno che era rimasto solo, e forse non sempre aveva inciso la tacca. Avrebbe potuto essere la fine di dicembre, o anche il principio dell’anno nuovo. Ma che importanza aveva?
I viveri, a dosarli bene, potevano bastare ancora un paio di mesi; se poi riusciva a prender con i lacci qualche lepre o un capriolo poteva arricchire la razione. – Magari un giorno – disse al fuoco -, dopo una nevicata, invece di cavar ceppi vado a seguire le tracce.

Anche quella sera aveva ravvivato il fuoco discoprendo la bracia del mattino. E ora, dopo aver appeso alla catena sopra il fuoco il paiolo con l’acqua per fare la polenta, si era arrotolato la sigaretta di trinciato, l’unica che poteva permettersi e sempre in quel momento della giornata.
Guardava le fiamme salire sullo sfondo nero della fuliggine depositata sulle pareti del camino, le faville che si rincorrevano, e si sentiva appagato della giornata trascorsa.
Fuori il cielo si era abbassato e lentamente era incominciato a nevicare. Unico rumore era quello del fuoco e del suo respiro.

Sentì avvicinarsi un frusciare di sci, poi sbattere dei legni per staccare la neve, chiamare il suo nome.
Riconobbe subito la voce ma non si scostò dal fuoco.
Sentì battere con forza sulla porta e ancora ripetere il suo nome. Si alzò dalla panca, levò il paletto che teneva chiusa la porta e chiese: - Cosa vuoi?
- Oggi è Natale – gli rispose l’uomo. - Ho saputo che sei qui. Posso entrare?
- Meglio di no.
- Ascoltami, almeno.
- Vieni avanti.
L’uomo si pulì dalla neve, si avvicinò al fuoco e dopo disse: - Quando ti abbiamo preso e condannato non ho fatto che eseguire gli ordini. E poi era quello il mio dovere verso la patria. Non era colpa mia.
Non rispose, non fece alcun gesto. Guardava il fuoco ed era come rivivere tutto. Le donne e i ragazzi uccisi dai soldati tedeschi, i compagni lasciati morti nella neve, gli ebrei di Leopoli. Il Lager. Il Lager dove era morto quel ragazzo di città che era stato preso e condannato assieme a lui. Poi lo avevano spogliato e buttato nella grande fossa oltre i reticolati deve c’erano jugoslavi, greci, polacchi, russi, italiani. Era stato proprio l’anno prima, di questo tempo, perché assieme alla fame c’era anche tanto freddo.
Forse era Natale quel giorno di dicembre quando morì il ragazzo.

Non ascoltava quello che gli diceva il suo maestro della Scuola elementare, che aveva ritrovato in divisa della Brigata nera. L’acqua nel paiolo stava per alzare il bollore e andò a prendere il sale e la farina.
- Oggi è la Natività del Signore – riprese il maestro, - ho saputo che eri qui da solo e sono venuto a trovarti. Ti chiedo scusa per quello che ti ho fatto. Ho qui nello zaino un panettone e una bottiglia di spumante.
Non poteva perdonarlo, no.
Non per quanto lo riguardava direttamente, ma per gli altri che non avevano nemmeno più un fuoco da guardare. Si avvicinò alla porta e la spalancò.
Là fuori era buio e la neve che mulinava il cielo veniva a posarsi fin sulla soglia di pietra della vecchia osteria di confine.
– Va via – gli disse sottovoce.

Mario Rigoni Stern, Natale 1945. Tratto da: Racconti di Montagna, Einaudi 2007, collana Spuercoralli

giovedì 20 dicembre 2007

E la montagna partorì un aquilotto

La Provincia Autonoma di Bolzano, nella persona dell'assessore alla mobilità Thomas Widmann, ha presentato ieri la campagna invernale per la sicurezza sulle strade e sulla neve, varando nel contempo il sito web.

Testimonial della campagna, il simpatico aquilotto Argus.

"L’intento non è tanto quello di proibire o reprimere, ma soprattutto di far riflettere e di responsabilizzare i singoli nei confronti di una guida corretta e di una pratica consapevole dello sci." recita il comunicato stampa della Provincia.

E quali sono i suggerimenti, le linee guida, i consigli, che si possono leggere sul sito? Eccoli:

  • attenzione e rispetto per gli altri
  • mantenere la distanza
  • fermarsi sempre ai bordi della pista
  • attenersi alla segnaletica
  • rispettare le aree protette
  • prestare soccorso in caso di necessità
  • dare le proprie generalità se si è testimoni di un incidente
  • non sottovalutare il pericolo di valanghe
  • dare precedenza allo sciatore che scende
  • padronanza di velocità e capacità
  • dotarsi di una buona attrezzatura
  • usare il casco

Ma pensa! Questi sono tutti i contenuti del sito. Non c'è una parola in più, una spiegazione, nulla. Non si parla di fuoripista, né di nivologia, non sono nemmeno rispettati i punti del decalogo dello sciatore pubblicato nel Decreto del 20/12/2005 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti pubblicato nella GU n.299 del 24/12/2005 che è un po' più ampio e descrittivo.

Un bel po' di pagine vuote, una gallery fotografica penosa, 4 link in croce, fine.

Non so come si svolga la campagna in altre sedi che non siano il web, ma questo sito è assolutamente inutile, superficiale, inconsistente.

Per non fare la Beppa Grilla, non voglio nemmeno chiedermi quanto sia costato e, se non è finito, perché al lancio della campagna non sia, appunto, completo.


venerdì 14 dicembre 2007

E c'è chi se le va a cercare

Jeremy Jones è un altro svitato: mentre la gente normale studia il meteo, i bollettini nivologici, la sfera di cristallo per evitare le valanghe, Jeremy se le va a cercare, anzi le provoca volutamente e poi le cavalca con la tavola su pendii da infarto.

Nato in Massachusetts, residente in California, sposato con Tiffany e babbo di una bimba, ha vinto il "Big Mountain Rider of the Year" 2007 ed è il mito dei free rider.

Il video che linko qui sotto (caricato da skeini su youtube) merita un'occhiata, per farsi un'idea delle adrenaliniche acrobazie del personaggio. E tiene famiglia, eh!

Jeremy ha anche un'anima ambientalista, è stato fra i promotori del “POW” (Protect Our Winters), iniziativa no profit che ha per fine mostrare come piccole scelte di vita quotidiana possano contribuire a ridurre le emissioni dei gas serra, considerati fra le cause del riscaldamento terrestre e degli inverni sempre meno nevosi.

(Poi magari si fa portare sulle cime dall'elicottero, ma tant'è.)

giovedì 13 dicembre 2007

Ma che aspetti, babbeo?

(video caricato da www.passioneo.com/)

Numeri: valanghe

(foto Wikimedia Commons, licenza public domain)

Morti da valanga in Italia: dall'inverno 1967 all'inverno 2003 ci sono stati 723 morti da valanga, con una media di 20 all'anno negli ultimi 20 anni. Nonostante l'alto numero di morti degli inverni 2000/2001 (29) e 2002/2003 (23), la media degli ultimi 10 anni tende a calare, scendendo a 16 vittime a stagione.

Sempre negli ultimi 20 anni si sono contati 641 incidenti nei quali i travolti sono stati 1495, 394 dei quali deceduti (26%) e 1101 sopravvissuti (74%).

Queste percentuali sono coerenti con quelle rilevate nello stesso periodo in Svizzera e in Francia.

La percentuale più alta di incidenti con vittime coinvolge scialpinisti, con un 48% di morti sul totale. Segue lo sci fuori pista con il 23%, l'alpinismo (compreso quello estivo) col 19%, con un netto aumento negli ultimi anni dovuto all'arrampicata su ghiaccio. Fanalini di coda lo sci su pista (1%), abitazioni (1%) e vie di comunicazione investite da valanghe (2%) e un residuale 6% dovuto a cause varie.

Nel 1986 le ultime vittime da valanga su vie di comunicazione e nel 1999 su un paese, precisamente a Morgex (Valle d’Aosta).

Secondo AINEVA (Associazione Interregionale Neve e Valanghe) questi dati confermano che nel 95% degli incidenti il distacco della valanga è avvenuto per responsabilità dell'uomo e solo il 5% per cause naturali.

Il 50% delle volte tutti i presenti sul luogo della valanga sono stati travolti, e fra questi il 37% rimanendo in superficie, il 28% è rimasto semisepolto e il 35% completamente sepolto. Di questi ultimi il 65% è stato recuperato già morto. AINEVA sottolinea che "I dati relativi agli estratti ancora in vita sono però scoraggianti, anche a causa della poca diffusione delle tecniche di autosoccorso. Infatti, in Italia solo il 19% dei completamente sepolti sotto la neve è stato individuato con l’ARVA mentre, ad esempio, in Canada sono il 42%"

AINEVA conclude lo studio con queste considerazioni: "Appare evidente come in Italia, parallelamente al sempre crescente sviluppo di attività ricreative svolte sulla neve non vi sia ancora, a livello individuale, una piena consapevolezza del problema e l’attuazione di efficaci azioni preventive vista la notevole frequenza di comportamenti scorretti in caso di incidente e lo scarso utilizzo dell’ARVA."

(fonte AINEVA )


mercoledì 12 dicembre 2007

Racconti di montagna

Finito oggi di leggere "Racconti di Montagna" Einaudi, 2007.

Singolare la scelta del curatore di quali racconti inserire nella raccolta: si passa da uno scontato, ma non per questo meno bello, Rigoni Stern a un sorprendente Nabokov in lotta con un angelo, a un fulminante Hemingway con il suo famoso "Idillio alpino", a un improbabile Salgari con un fantasioso "Le valanghe sugli Urali".

Agghiaccianti "il Rifugio" di Maupassant "Un crepaccio nella neve ghiacciata" dello scrittore basco Atxaga e la cronaca di "Una brutta estate sul K2" del giornalista-scrittore John Krakauer.

Un po' distante dalle mie corde il racconto del premio Nobel giapponese Kawabata, nel quale il Fuji appare solo come una quinta lontana, impagabile l'a me sconosciuto Achille Giovanni Cagna con un tragicomico racconto su un gruppo di sprovveduti ma presuntuosi turisti cittadini in cerca del latte appena munto. E pare tanto di vedere qualche scenetta di tempi più vicini ai nostri. Peccato che il suo "Alpinisti ciabattoni" sia di difficile reperibilità perché mi è venuta una gran voglia di leggerlo :)

Difficile dire quale fra questi è il mio preferito. Calvino, (L'avventura di uno sciatore); Primo Levi (Ferro); Hemingway (Idillio alpino) per la pulizia ed essenzialità del linguaggio. Cagna, per l'ironia. Krakauer, che di solito mi sta sulle scatole, per la freddezza della cronaca. Dino Buzzati.. evabbè me ne sono piaciuti parecchi :)

PS: leggo anche altre cose, eh, non solo libri di montagna :D


Santa Luzia

Lorenzo Lotto - Santa Lucia davanti al giudice Pascasio (fonte Wikimedia Commons, licenza copyleft)

"Santa Luzia l’e’ vicina
su da bravi né a dormir
meté for la scarpetina
e non feve pu sentir.

La gà en gaida tanta roba
da magnar e da ciuciar
e de l’asen su la goba
la va ‘n giro de val en val."(*)

Placida Signora mi ricorda che questa è una notte magica, arriva Santa Luzia. Questa sera i bambini mettono sul davanzale una scodella piena di farina di mais per l'asinello e la scarpa più grande di casa: domattina la troveranno piena di dolciumi, mandarini, noccioline, un quaderno, qualche pastello a cera, un album da colorare. A casa mia era molto gettonata la "pocena", pantofolona di panno sformata, del nonno.

Nelle famiglie contadine questa era l'unica occasione per ricevere doni, non c'erano munifici Babbi Natale o Bambini Gesu', solo Santa Luzia in Trentino e Santa Klaus (San Nicolò) in Alto Adige.

Quest'ultimo è un vecchio bizzoso che tuttora la sera del 5 dicembre gira per Bolzano vestito da vescovo, con la mitria in testa e il pastorale in mano, seguito da un nugolo di orribili Krampus armati di catene e fruste che minacciano i bambini cattivi. Nel loro sacchetto dei doni troveranno solo carbone.

(*) versione lunga, in uso nell'Alto Garda Trentino:

Santa Luzia l’è vizina;
Su da bravi, ne’ a dormir;
Metè fora la farina
E no feve pu sentir.
N’anzolim el la compagna
E la mena n’asenel,
La vegn dentro da campagna,
La va fora da Castel;
La ga ’n gaida tanta roba
Da magnar e da ciuciar,
E po l’asem su la gob
El ga sora ’n gran Bazar.
Guai però se i popi i cria,
Guai a quei che no obediss;
L’asenel el passa via
E po’ ’l agola ’m paradiss!
Guai a quei che fa dispeti,
Che no i vegn quando i se ciama,
Che i maltrata i poereti,
Che no i scolta la so mama;
Guai a quei che diss bosie,
Che ne dis le so oraziom,
Che strazzai, come le strie,
I va sempre a zibaldom!
Per quei popi, dove’ creder,
Santa Luzia e l’asenel
I fa finta de no veder
E i sparis piam piam bel bel.
Dunque né, penseghe drio,
E po’, prima de dormir,
Prometéghe al Sioredio
D’esser bravi e d’obedir.


lunedì 10 dicembre 2007

Buon Natale, Nives!

Nives Meroi (fonte internet)

Nives e Romano non mollano, battuti dal Makalu in ottobre, ci riprovano in invernale:

"07 dicembre 2007
Abbiamo finalmente deciso la prossima meta, proveremo la salita invernale del MAKALU. Non siamo soli, ci accompagneranno un gruppo di quattro kazaki e il nostro abituale compagno Luca VUERICH, la partenza è fissata per il 24 dicembre."

domenica 9 dicembre 2007

sabato 8 dicembre 2007

Impallinata un'aquila in Valsugana (TN)

Aquila chrysaetos (Fonte Wikipedia, licenza Creative Commons Attribution ShareAlike 2.0)

Marco Gramola l'ha trovata morta nel suo orto alla periferia di Pergine e l'ha consegnata alla Guardia Forestale. Femmina, fra i 3 e i 4 anni di età, ampiezza alare oltre i 2 metri, è stata abbattuta da 2 proiettili simili a quelli usati per cacciare le lepri, uno dei quali le ha spezzato il femore e l'altro si è piantato nel torace.

In Valsugana c'era un'unica coppia di aquile, in Trentino ne sono state censite 54 e in tutto l'arco alpino sono circa 500.

Le aquile e tutti gli altri rapaci sono protetti dalla legge dalla metà degli anni '70.

(Fonte: Sito del quotidiano L'Adige)

Maja Vidmar Serre Chevalier, 2005

Questo grilletto ventiduenne, dopo aver vinto 6 gare di fila, lo scorso 18 novembre si è portata a casa in Slovenia la coppa del mondo di Lead climbing(*).

Non contenta di essere la migliore su artificiale, Maja è molto forte anche in falesia: l'anno scorso ha salito "Osapski pajekil" a Ospo, suo primo 8c .

In questo video, caricato su Youtube da stroppy7, la vediamo in azione a Serre Chevalier nel 2005.

(*) Tipo di arrampicata libera nella quale salendo si fa passare la corda nei moschettoni piazzati lungo la via. Non essendoci l'assicurazione della corda dall'alto, se si perde l'appiglio si vola per una lunghezza pari al doppio della distanza fra chi arrampica e l'ultimo moschettone al quale si è assicurato. Mi sono spiegata alla cavolo, la sostanza è che se non si è preparati al volo ci si può far male sbattendo contro la parete, cosa che non succede con l'assicurazione dall'alto.

Climber, se ho scritto cavolate corigetemi ;)

La SAT e le "Tesi di Moena"

Ho trovato on line le "Tesi di Moena", ovvero le linee guida per contrastare il Climate Change, presentate dalla SAT ai soci nel corso del suo 113° congresso che si è tenuto a Moena dall'1 al 7 ottobre di quest'anno. Nulla di eclatante eh, ma una presa di coscienza del fenomeno e una serie di suggerimenti dai quali partire per ragionare su cosa ciascun socio, sezione, rifugista può fare nel suo piccolo. E cosa dovrebbero fare le istituzioni nel grande.

I 10 punti sui quali la SAT si sofferma riguardano: Acqua, Agricoltura di montagna, Ecosistemi, Educazione, Energia e risparmio energetico, Gestione dei rifiuti, Ghiacciai, Pianificazione territoriale, Trasporti, Turismo alpino.

Segue un codice di autoregolamentazione dei rifugi alpini, che vengono esortati affinché "le buone pratiche siano applicate in modo costante, continuo e permanente".

QUI, nel sito del CAI delle Marche, il testo integrale delle Tesi di Moena, pubblicate anche sulla rivista "Lo Scarpone" di dicembre. Brillano per la loro assenza nel sito ufficiale della SAT e in quello del CAI che pubblica, liberamente consultabili, i numeri solo fino a novembre 2006 de "Lo Scarpone". Teoricamente gli iscritti al CAI avrebbero accesso anche all'ultimo numero pubblicato, ma se esiste un bellissimo link per la login, non riesco a trovare in nessun posto dove diavolo ci si può registrare al sito. Se qualcuno lo trova mi faccia un fischio.

Sul sito della SAT invece, il testo ufficiale (in formato .pdf) redatto dal Consiglio Centrale SAT nel quale l'associazione comunica e motiva la rinuncia alla gestione dei sentieri in Paganella (vedi i miei post a riguardo).

venerdì 7 dicembre 2007

7 anni nazisti in Tibet

Il post di Lioa segnalato ieri mi ha fatto tornare in mente la figura controversa di Heinrich Harrer (Hüttenberg, 1912–Friesach, 2006), forte alpinista austriaco, esploratore, autore dell'autobiografico "Sette anni in Tibet", libro dal quale è stato tratto l'omonimo film con Brad Pitt.

Divenne famoso, oltre che come olimpionico nella squadra austriaca ai Giochi invernali di Garmisch-Partenkirchen del 1936, per aver partecipato alla cordata che portò a termine la prima salita della terribile parete nord dell'Eiger nel 1938, cordata che si premurò di piantarne sulla vetta la bandiera con la croce uncinata.

Già nel 1933 Harrer aderisce al nazismo entrando nelle SA (lo rivela il giornalista tedesco Gerald Lehner, sulla rivista Stern del giugno 1997 basandosi su inedite fonti d'archivio) e nel 1938, dopo l'annessione dell'Austria alla Germania, entra nelle SS. Compare in una foto orgoglioso e impettito alla destra di Hitler e in altre immagini con un gagliardetto con la svastica sullo zaino.

Nel 1939 venne incluso nella spedizione nazista al Nanga Parbat in Himalaya, fortemente voluta da Himmler, spedizione che si inseriva nella gara internazionale per la conquista delle cime più alte della terra e, così ipotizzano alcuni autori, alla ricerca delle radici della "razza ariana". Già l'anno precedente infatti Himmler aveva inviato una missione a Lhasa a cercare le prove per dimostrare che i tibetani erano i discendenti degli ariani fuggiaschi dopo la distruzione di Atlantide! (fonte: Giorgio Galli, "Hitler e il Nazismo magico")

La spedizione di Harrer si concluse prima di iniziare: allo scoppio della guerra si trovava in India, colonia inglese, dove fu fatto prigioniero e internato in un campo di concentramento. Dopo una fuga rocambolesca e 2.000 terribili chilometri a piedi raggiunse il Tibet, territorio precluso agli stranieri, dove passò 7 anni alla corte del giovane Dalai Lama del quale divenne confidente ed amico. Tornò in Europa quando il Tibet venne invaso dalla Cina.

Nel suo edificante e a tratti commovente libro "Sette anni in Tibet" nel quale racconta la sua avventura, Harrer si guarda bene da fare cenno ai suoi trascorsi nazisti e, quando gli vengono rinfacciati, si giustifica dicendo che furono dovuti alla sua ambizione di imporsi nello sport.

Nel 1957 Harrer collaborò a gettare fango addosso a Claudio Corti, ragno di Lecco che venne accusato di avere volontariamente contribuito, durante il tragico tentativo di salita all'Eiger, alla morte, oltre che del suo compagno di cordata, anche di due alpinisti di una cordata tedesca che saliva con loro per impedire loro di raggiungere la vetta per primi. La vicenda venne poi smentita, ma Harrer non ha mai fatto menzione della rivalutazione dell’alpinista dei ragni di Lecco nè si è mai rimangiato le sue sferzanti dichiarazioni.

Alla luce di questi fatti si ridimensiona non poco la portata dell'uomo Harrer e anche la lettura del suo best seller cambia parecchio di prospettiva.

giovedì 6 dicembre 2007

Tibet

Segnalo ancora una volta un post pubblicato sul blog di Lucangel, Lioa o Lucio Angelini che dir si voglia: "STERMINATO TIBET; TIBET STERMINATO" nel quale riporta ampi stralci di un articolo de "La Rivista" del CAI: Luigi Zanzi, di ritorno da un viaggio in Tibet, parla con toni accorati dello "sterminio, tragico e crudele, che condurrà in breve tempo all'estinzione di quei popoli montanari e della loro civiltà". Da leggere!

Ringrazio vivamente Lucio per avermi risparmiato la scansione dell'articolo ;)

Chissà perché il CAI non pubblica una versione elettronica della rivista sul suo sito, come invece fa meritoriamente la SAT

Numeri: incidenti sugli sci

Come ci si fa male sciando? Secondo una ricerca del Centro Addestramento Alpino dei Carabinieri e dell'Istituto Superiore di Sanità, che nella scorsa stagione hanno monitorato 177 stazioni sciistiche e circa 26.000 incidenti, ben il 77% degli sciatori fa tutto da solo, cadendo come un salame su piste quasi sempre non difficili e con condizioni meteo buone, visibilità e stato della pista e della neve da buone a ottime (69,2% dei casi). Solo l'11,7% degli infortuni è causato da scontri con altri sciatori, il rimanente da malori o collisioni con ostacoli vari.

Nelle ultime 3 stagioni il numero degli interventi e dei soccorsi sulle piste è questo: 23.379 nella stagione 2003/2004; 26.745 nella stagione 2004/2005 e 26.472 in quella 2005/2006. Circa il 5% degli incidenti richiedono il ricovero ospedaliero. E' interessante confrontare questi numeri con la quantità stimata dei praticanti lo sci e lo snowboard: si calcola (come si calcoli non so) che ci siano circa 2 milioni e mezzo di sciatori, mezzo milione di tavolari, 400.000 scialpinisti (quest'ultima cifra mi pare un po' altina, difficile da stabilire visto che non comprano skipass né salgono con gli impianti. E gli sciescursionisti, quattro gatti peraltro, sono contati fra gli scialpinisti?). Quasi l'80% degli infortuni hanno coinvolto sciatori, circa il 15% snowboarder, il resto bobisti e slittinisti. A occhio pare che la tavola sia leggermente meno pericolosa degli sci, il perché è tutto da capire.

Mi piacerebbe sapere la percentuale degli scialpinisti coinvolti sul totale degli sciatori e degli infortuni sulla neve in genere, ma non sono riuscita a trovarla. Gradirei, se possibile, sfatare il mito che lo scialpinismo sia più pericoloso dello sci su pista ma non ho cifre da confrontare.

Difficile è invece è trovare un parametro di riferimento sensato e condiviso per valutare l'incidenza degli infortuni: finora la stima è stata fatta sul totale delle giornate di sci, ma l'ideale sarebbe, secondo l'ISS, sul numero di chilometri percorsi: denominatore al momento impossibile da quantificare.

La maggior parte degli incidenti capita quando l'affollamento delle piste è maggiore, fra le 11 e le 13. L'età media degli sciatori infortunati è di 32 anni, mentre i ragazzini fino ai 20 si fanno male con la tavola. Numeri abbastanza logici se si considera che lo sci è sport praticato maggiormente da soggetti giovani anche se i soccorsi sono intervenuti per persone di età fra 0 e 87 anni. Marco Giustini, coordinatore del sistema SIMON (Sistema di Sorveglianza degli Incidenti in Montagna del ISS), dà queste percentuali: "entro i 18 anni di età avviene circa il 25% degli incidenti segnalati, entro i 30 anni il 50%, entro i 45 anni accade circa l'80% degli eventi"

Le lesioni più comuni sono la distorsione del ginocchio fra gli sciatori, la frattura del polso fra i tavolari; fra il 10 e il 15% sono traumi cranici, un terzo dei quali con lesioni neurologiche, equamente divisi in entrambe le categorie, causati nella maggior parte dei casi da scontri.

Secondo l'Istituto superiore di Sanità la maggior concentrazione di incidenti, sembra ovvio, è durante le vacanze di Natale.

Qui il decalogo dello sciatore, per cercare di non essere inseriti in questa statistica.

(fonte: Istituto Superiore di Sanità)

mercoledì 5 dicembre 2007

Rifiuti speciali??

Monte Ciste, Lagorai

L'assessore trentino all'artigianato Panizza, inaugurando a Trento un mercatino artigiano: "Noi siamo presenti, quest'anno, accanto ai tradizionali settori, con il Progetto Lana del Trentino, un modo per riutilizzare in forma intelligente ed elegante il rifiuto speciale costituito dal manto delle pecore e degli ovini in generale;"

Rifiuto speciale? RIFIUTO? MARZIAAAAAAAA!!!!

Questi sono pazzi.

martedì 4 dicembre 2007

Un grandissimo


Ansel Adams -The Tetons and the Snake River - 1942
(fonte Wikimedia Commons)
opera di pubblico dominio (negli States, spero anche qui)

Matriarcato e montagna

contadina2_2  
Fienagione - Alto Adige

Dal sito della Provincia Autonoma di Trento, Assessorato Pari Opportunità:

Convegno internazionale: "Matriarcato e Montagna"

Sardagna (Trento), dal 14 al 16 dicembre 2007

Il convegno si terrà presso il centro congressi PANORAMA in via della Funivia,66
"Le donne, nel corso dei secoli,sono riuscite a sopravvivere in ambienti limite, mantenendo uno stretto rapporto con la natura, sfruttando le risorse ma conservando e curando il territorio nello stesso tempo, senza rinunciare alla magia e alla poesia, che le hanno trasformate in custodi della memoria e in compositrici di canzoni. Ancora oggi, la maggior parte delle iniziative di microeconomia e di economia identitaria sono portate avanti dalle donne: dove rimangono loro, la montagna vive, dove le donne se ne vanno, la montagna muore."

Le iscrizioni dovranno pervenire entro e non oltre il 05/12/07
Segreteria Convegno

c/o Centro di Ecologia Alpina
38100 Viote del Monte Bondone

Qui il programma del convegno (formato pdf)

domenica 2 dicembre 2007

Non è colpa mia!

Giotto_-_Scrovegni_-_-43-_-_Justice

Giotto - La Giustizia - Cappella degli Scrovegni (Fonte Wikimedia Commons - copyright expired)


Leggo sul quotidiano Alto Adige di oggi questo trafiletto:

"La Provincia deve farsi carico della tutela di chi frequenta un sentiero pericoloso. In caso contrario potrebbe essere chiamata a rispondere penalmente e civilmente di un eventuale incidente. E' il pensiero, rivoluzionario, espresso dal PM Pasquale Profiti nella richiesta di archiviazione dell'inchiesta per la morte di Beatrice Gasperetti, la donna di Molveno centrata ed uccisa da un sasso nel giugno del 2006 mentre percorreva il sentiero 304, quello che porta al rifugio Croz dell'Altissimo, ai piedi dell'omonima parete del Brenta.

Le argomentazioni del magistrato vanno a minare alla base una regola non scritta per chi affronta il terreno montano: la consapevolezza del rischio insito nella frequentazione della montagna. Per il pm quell'incidente fu una tragedia annunciata, anche se oggi risulta impossibile determinare eventuali responsabilità"

Di giurisprudenza ne capisco su per giù come la mia gatta quindi non sono in grado di stabilire su quali norme si basi l'argomentazione di Profiti. Qualcuno ne sa di più e mi illumina?

La cosa però mi preoccupa non poco: potrebbe portarsi appresso una cascata di ripercussioni. Com'è possibile manutenere i sentieri in modo da evitare ogni possibile incidente? Evitare che si stacchino macigni dalle pareti? Che qualcuno si inciampi in un sasso, si distorca una caviglia in un buco? Di chi è la responsabilità del crollo di Cima Una, per esempio? Quale ente pubblico sarebbe disposto ad assumersi la colpa di ogni possibile incidente capitato in montagna? Esagero? Ho capito male?

Già mi immagino la chiusura di innumerevoli sentieri, una pioggia di divieti, la richiesta di liberatoria da firmare da qualche parte prima di avventurarsi per monti. Oppure cartelli ovunque che recitano "sentiero non collaudato da percorrersi a proprio rischio e pericolo". Oppure tante belle stradicciole pavimentate, lisce, asfaltate e con solidi parapetti o corrimani.

Mi piace poco questa americanizzazione della società per la quale la colpa di quel che ci capita è sempre di qualcun altro al quale chiedere sostanziosi risarcimenti. Bisogna che ci sia sempre qualcuno che si occupi di noi, che ci eviti ogni imprevisto, che banalizzi ogni esperienza, che addomestichi la realtà. Che ci eviti di essere responsabili di noi stessi e di usare la testa.

PS: ma Profiti, in montagna, c'è mai andato?

sabato 1 dicembre 2007

Invecchiare

"Invecchiare e' come scalare una montagna: mentre si sale le forze diminuiscono. Ma lo sguardo e' piu' libero, la vista piu' ampia, piu' serena."

Ingmar Bergman

venerdì 30 novembre 2007

Come è morto Sepp?

Il Monte Paterno (a sx) e le 3 Cime di Lavaredo dal Rifugio Locatelli/Dreizinnenhütte

Sepp Innerkofler ha 50 anni quando vede la guerra avvicinarsi al punto da essere quasi ai confini con l'orto del suo maso. Può restarsene lì a guardare, mentre gli austriaci adibiscono a quartier generale la sua Dreizinnenhütte (ora Rifugio Locatelli alle 3 Cime di Lavaredo), rafforzano le difese sulle sue montagne con le poche truppe a disposizione (la maggior parte infatti è impegnata sul fronte russo), costruiscono trincee in attesa della dichiarazione di guerra degli italiani?

No, non può: stanno portando la guerra in casa sua. In maggio del 1915 Sepp, alpinista e guida alpina, si arruola fra gli Standschützen, i volontari tirolesi dell'esercito austrungarico e per alcuni mesi fa parte di una "pattuglia volante" che sorveglia la zona delle Dolomiti di Sesto, posti che Sepp conosce come le sue tasche, scalando nel contempo diverse cime. Il coraggio dimostrato nei suoi pattugliamenti gli vale il grado di sergente e una medaglia d'argento, cosa non comune dato il suo stato di volontario e non di militare effettivo. Durante quei mesi di guerra tiene un diario sul quale scrive quello che vede e racconta brevemente le azioni alle quali partecipa.

Non dura molto quel diario, infatti il 4 luglio di quell'anno Innerkofler muore sulle sue crode durante il tentativo di attacco alla postazione italiana sul Paterno, montagna da lui già scalata diverse volte e punto strategico per il controllo della Forcella Lavaredo, porta d'accesso verso il Cadore da una parte e verso la Pusteria e il Tirolo dall'altra.

Ma come morì Sepp Innerkofler? Secondo la prima versione colpito da una fucilata italiana quando, arrivato in prossimità della vetta, lanciò 3 bombe a mano, due delle quali rimasero inesplose. Luis Trenker invece, nel 1932, diffuse la notizia, ripresa da un libro di Antonio Berti, che Sepp precipitò dalla cima travolto da un grosso masso gettatogli addosso dall'alpino Piero De Luca, finendo incastrato nel camino Oppel.

Queste furono per decenni le versioni accreditate: Innerkofler era morto per mano italiana, difendendo i sacri confini dell'Impero. Difficile in quegli anni accettare la terza ipotesi, che iniziò a circolare molto tempo dopo, nel 1975, suffragata peraltro da più di un testimone, fra i quali lo stesso figlio di Sepp: morì falciato da una raffica di mitra partita per errore dalle vicinanze della Torre Toblin, postazione tenuta in quel momento dai suoi stessi commilitoni, che gli facevano fuoco di copertura. Fuoco amico.

Recuperarono la salma del noto e stimato alpinista gli stessi alpini che l'avevano combattuto e la seppellirono sulla cima del Paterno da dove venne recuperata e traslata nel cimitero di Sesto dopo il 1917.

(Joseph Innerkofler: Sesto Pusteria 28 Ottobre 1865, Monte Paterno 4 Luglio 1915, dapprima tagliaboschi, operaio in una falegnameria e in seguito simbolo delle guide di Sesto/Sexten. Gestì per 17 anni il rifugio Dreizinnenhütte alle 3 Cime di Lavaredo, fino a quando non venne distrutto dalle artiglierie italiane, e nel 1908 costruì il Dolomitenhof, il famoso albergo tuttora aperto vicino al parcheggio all'inizio della Val Fiscalina, dotandolo di tutte le comodità compresa la luce elettrica. Famosa la sua prima ascensione, nel 1890, della parete N della Cima Piccola di Lavaredo in cordata con Hans Helversen, di Vienna, e Veit Innerkofler. Al suo nome è dedicato il Sentiero attrezzato Piero de Luca - Innerkofler sul Paterno.)

giovedì 29 novembre 2007

Dan Osman, 11 febbraio 1963 - 23 novembre 1998

Dan Osman era molto conosciuto per le sue arrampicate al limite in free soloing, cioè senza nessuna protezione, per le salite in velocità (400 piedi di parete in California scalati in 4 minuti e 25) e per i salti nel vuoto appeso a una comune corda dinamica da arrampicata, sistema con il quale ha stabilito il record di 305 metri di volo.

Nativo americano (indiano, insomma) era un tipo originale e trasgressivo, o meglio matto come un cavallo: senza un lavoro fisso viveva per mesi interi in una capanna nel bosco e si dedicava alla sua grande passione.

E' morto a 35 anni tentando di battere il suo stesso record di salto, perché si è spezzata la corda.

mercoledì 28 novembre 2007

Due storie bestiali

Ve lo ricordate Bruno, l'orsetto girovago che dal Trentino è sconfinato in Baviera l'anno scorso e che alcuni anonimi cacciatori hanno stecchito col benestare del governo, sollevando un polverone di polemiche? Giunge notizia da Monaco che entro la primavera dell'anno prossimo la povera bestia sarà esposta, impagliata, al museo di storia naturale nel Castello di Nymphenburg. L'orso sarà presentato, dice il ministro dell'ambiente bavarese, "in modo dignitoso". Accanto al suo predecessore, l'ultimo orso autoctono vissuto in Baviera, fatto fuori circa 170 anni fa. Cari orsi, se avete un concetto di dignità diverso da quello del ministro Otmar Bernhard, state alla larga dalla Baviera!

L'asinella Maya, di proprietà di un contadino, è stata uccisa nottetempo con un fucile di precisione mentre pascolava tranquilla nel prato accanto al maso di fianco alla statale della val Venosta nei pressi di Sluderno. Si ipotizza che sia stata scambiata per una giovane cerva da un cacciatore dal grilletto facile. Forse l'uomo ha superato l'esame per ottenere la licenza di caccia insieme a quel suo collega che qualche anno fa ha ucciso una lince in Valsugana scambiandola per un gatto (!).

(fonte: quotidiano Alto Adige di oggi)


martedì 27 novembre 2007

La scelta di Hans

Forcella Sassolungo col Rifugio Demetz

Era inquieto, Hans Demetz, quel giorno del 1952: sulla NE del Sassolungo si stava scaricando un temporale tremendo. E su quella parete c'era suo figlio Toni, apprezzata guida alpina come il padre, con 2 clienti tedeschi. Toni era bravo, prudente, conosceva il Sassolungo come le sue tasche, vicino alla vetta c'era un bivacco dove ripararsi ma Hans non riusciva a darsi pace. Continuava a scandagliare la montagna col binocolo, andava su e giù come un leone in gabbia.

Appena possibile, senza aspettare gli amici del soccorso alpino, partì alla ricerca del figlio. Arrivato in cresta facendosi strada fra la grandine, trovò quel che temeva: un fulmine si era scaricato sulla cordata, un cliente era già morto, il figlio e l'altro alpinista erano ancora vivi ma gravemente feriti.

Quello che passò per la mente di Hans ce lo possiamo solo immaginare, il dramma della scelta di un padre: da solo, chi tentare di salvare? Hans scelse il cliente. Se lo caricò in spalla e iniziò a scendere. Quando le guide raggiunsero Toni lo trovarono già spirato.

Cosa sarebbe cambiato se avesse scelto di salvare il figlio? Forse nulla, sarebbe morto lo stesso. Ma vivere il resto dell'esistenza con questo dubbio dev'essere stato devastante.

In memoria di Toni, Hans costruì un rifugio, il rifugio Demetz a forcella Sassolungo. E lo gestì per anni, il suo rifugio, nel cuore di quella montagna che tanto amava e che gli aveva strappato un figlio.

Non sono riuscita a sapere la sorte del secondo cliente, se la scelta drammatica di Hans abbia contribuito a salvare una vita.

(Giovanni Demetz, detto Hans, Santa Cristina in Val Gardena 1903-1994, orologiaio, elettrotecnico, guida alpina, per 50 anni membro del soccorso alpino gardenese. Aprì e liberò diverse vie, la più famosa sullo spigolo SE del Gran Cir. Fu uomo di grande umanità e lucidità, capace di sdrammatizzare e risolvere le evenienze più complesse. Mi spiace di non aver saputo la storia quest'estate quando siamo arrivati al rifugio Demetz sotto una fitta nevicata, bagnati e congelati, rigorosamente a piedi anche se ora si raggiunge in funivia.)

lunedì 26 novembre 2007

Folgaria235

Incollo dal sito Folgaria235

"Partiamo da una constatazione che ci sembra difficile ignorare e più ancora smentire: da molto tempo a Folgaria è in atto un processo di aggressione al territorio che, a colpi di impianti e piste da sci e attraverso una crescita edilizia smisurata e folle, sta stravolgendo la bellezza di questi luoghi e li sta mano a mano togliendo a chi ancora li riconosce come suoi. Ma contemporaneamente - poiché non si può distruggere un ambiente senza corrompere la coscienza di chi vi abita - quale condizione che lo rende possibile, ci sembra si stia verificando la perdita di un’ identità specifica, di un patrimonio culturale condiviso e realmente vissuto, di un attaccamento alla natura fatto di rispetto e riconoscenza, di una memoria capace di conservare un’etica della vita in montagna improntata a valori più nobili della ricerca del profitto, più giusti della spietata concorrenza economica. Con uguale preoccupazione notiamo il progressivo allentamento di quei vincoli di solidarietà che soli possono tenere unita una comunità e soddisfare i bisogni dei suoi membri, e il crescente senso di sfiducia nelle possibilità di costruire un futuro individuale e collettivo che non debba per forza inserirsi nelle soffocanti logiche del turismo di massa. Il rischio è di vedere Folgaria smarrire la sua fisionomia, a forza di sostituire le malghe con i residence, i pascoli con i solarium in quota, i pezi e gli avezi con i piloni delle seggiovie, in una chirurgia antiestetica ai danni della natura che finirà inesorabilmente per renderla irriconoscibile. E molto più brutta. E’ un rischio che non vogliamo correre. Perché siamo convinti che si possa viverci anche in molti altri modi, capaci di darci emozioni più forti, sensazioni più sincere, soddisfazioni più vere. (...)"

Ancora soltanto due parole a motivare il nome che abbiamo scelto di dare a questa esperienza. Il numero 235 fa riferimento ai Folgaretani, erano appunto 235, che nel 1578 si recarono a castel Beseno per essere ricevuti dal conte Osvaldo Trapp, allora signore di Beseno, il quale avanzava nei confronti della comunità di Folgaria richieste ingiustificate e la rivendicazioni di tributi che già dal secolo precedente i Folgaretani non erano più tenuti a versare. L’incontro, che nei piani di Osvaldo sarebbe servito a dissuadere quel popolo di montanari dal resistere alle sue arroganti pretese, si risolse in una fiera e tenace difesa dei propri diritti, in un compatto e irremovibile rifiuto di cedere alle prepotenze del conte. Ai tentativi di dividere i Folgaretani al loro interno essi replicarono esigendo di essere ricevuti tutti insieme e alle minacce del Trapp seppero opporre il loro ostinato ed eloquente silenzio. Dopo averli accusati di comportamento indegno, chiese a tutti presenti di declinare le proprie generalità. Nessuno lo fece. Il conte non riuscì a sapere altro se non il loro numero: 235. Come quei 235, nel loro ricordo e ispirandoci al loro coraggio, intendiamo opporci a ogni tentativo messo in atto dai signorotti del 21° secolo di toglierci ciò che di più prezioso ancora conserviamo: la terra e quel sentimento che ad essa ci lega e in cui consiste anche oggi, dopo tanti secoli, l’essenza della dignità."

Auguri, ragazzi!

(Folgaria, splendido altipiano di boschi e pascoli nella parte sud-orientale del Trentino N.d.f.)


Il ritorno dal bosco


Giovanni Segantini, 1890
(Fonte Wikimedia Commons - copyright expired)

Il pascolo è mio e me lo gestisco io

Val di Fumo (foto Loriz)

Democrazia diretta: ieri i cittadini di Saviore, paese in provincia di Brescia, hanno partecipato a un referendum per decidere le sorti di una malga e di un pascolo.

Il comune è proprietario da secoli di un cascinale, in disuso da 50 anni, e del terreno che lo circonda, situato ai piedi dell'Adamello, in val di Fumo,  nel territorio del vicino municipio trentino di Daone. La maggioranza dei votanti ha respinto la proposta dei vicini di casa che offrivano 6,7 milioni di euro per l'acquisto della proprietà, rinunciando così alla realizzazione, fra l'altro, di una centralina idroelettrica che avrebbe reso, secondo i calcoli della Giunta, "500 mila euro di energia ogni anno". Sarà molto difficile, dice costernato il sindaco, per un comune così piccolo reperire in altro modo i quattrini necessari.

Comunque sia, la volontà della maggioranza è chiara: la terra non si vende!

(Fonte: Quibrescia)

domenica 25 novembre 2007

Ancora poca neve

Dopo 4 giorni di pioggia la situazione in Alta Badia è questa:


Screenshot della Webcam Alta Badia - La Viila - Piste Gran Risa - (BZ) - Trentino Alto Adige - 1485 m S.l.m., alle ore 12.30 di oggi.

Webcam Piz La ViIlaOfferta da: sotbosch.it


Spottone Alto Adige

Foto Montagna.org

Montagna.org presenta sul suo sito 4 filmati di una decina di minuti l'uno dedicati all'Alto Adige.

La conduttrice, Sara Sottocornola, è un bel po' ingessata, le interviste prevedibili, nulla di più di un lungo spot sul turismo in Alto Adige: le piste da sci, gli alberghi, i nefasti mercatini di Natale, la cucina, una breve e poco interessante intervista a una scarmigliata Margot Hinter "esperta in vini", wellness e tutto il solito armamentario pubblicitario ben noto.

Se qualcosa di interessante c'è, è il monologo di Durni, il nostro Kaiser, ovvero il presidente della Provincia Autonoma, e un'intervista a Giorgio Gajer, vicedirettore dell'Ente Fiera e segretario per l'Alto Adige del CNSAS (Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Spelelologico), nel terzo video.

E un sacco di belle immagini e filmati, concessi da Dolomiti Superski, Alto Adige marketing, Aiut Alpin Dolomites. Dalle quali si capisce quanto bella sia ancora questa terra, quale valore anche economico abbia il paesaggio, e che delitto sarebbe devastarla e rovinarla per spremerene tutto e subito il potenziale turistico.


sabato 24 novembre 2007

Casarotto

Escher - Drawing Hands

"Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro vi sono la mia educazione,
i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine.

In montagna non porto il meglio di me stesso:
porto tutto me stesso, nel bene e nel male."

Renato Casarotto


venerdì 23 novembre 2007

Tutti invidiosi

Castel Firmiano-Siegmundskron, presso BZ, sede del Messner Mountain Museum (foto Stefan Kuhn, fonte: Wikipedia, licenza GNU)

Come dicevo ieri, a Bolzano raramente succede qualcosa di interessante, tanto da riempirci i giornali senza dover ricorrere alla casalinga che si taglia il dito affettando le cipolle. E quindi poteva finire così, la querelle Messner-ambientalisti? Naturalmente no.

M.d. intervista sull'Alto Adige di oggi lo scalatore che, a dirla tutta, non sciorina fior di argomenti. Forse a causa della brevità del colloquio?

Ecco lo stralcio sull'argomento dell'intervista (poi la smetto, giuro!):

«Le critiche? Solo invidia»

Messner: né coi poteri forti, né con le associazioni

Ho un buon rapporto con Durnwalder (Presidente della Giunta Provinciale N.d.F) ma non con l’Obmann Pichler Rolle (Presidente della Südtiroler Volkspartei N.d.F.). Eurotunnel? Un’opera che serve all’ambiente

BOLZANO. Lo accusano di stare dalla parte dei forti, leggi Svp, per portare avanti i suoi affari. Di aver svenduto gli ideali. Di non aver mai avuto un’anima protezionista. Tutte critiche dal mondo degli ambientalisti che lui affossa replicando: «Solo invidia, vogliono farsi pubblicità sui media, criticandomi». “Lo fanno da anni”, dice Reinhold Messner, dopo aver letto gli interventi di ieri sull’Alto Adige.

Ma ci sarà pure un fondo di verità in questa valanga di critiche?

«L’unica verità è che vogliono solo finire sulle prime pagine dei giornali e per fare questo utilizzano la mia persona, così la pubblicità è garantita. Penso alle battaglie dell’Heimatpflege contro Castel Firmiano, oppure alle critiche rivoltemi in passato dai vertici italiani di Mountain Wilderness per gli altri musei che ho avviato».

L’accusano di essere favorevole al tunnel del Brennero, opera vista come un “pugno in un occhio” dagli ambientalisti.

«Certo che sono favorevole all’Eurotunnel, l’ho sempre detto, ma ad alcune condizioni. La prima, fondamentale, è che il traffico su strada finisca veramente su rotaia. Qui ci vuole una decisione di Bruxelles».

Eppure il Messner del passato, dalle grandi aperture sociali e critico verso i poteri costituiti, sembra essersi allineato con chi in questa provincia rappresenta il potere.

«Mai stato con i forti e neppure con le associazioni. Anche quando ero europarlamentare non ho mai avuto la tessera del partito dei Verdi. Prendiamo la Svp: ho un buon rapporto con Durnwalder, ma certo non con il resto del partito. Forse perchè il presidente è più autonomo rispetto ad altri poteri».


«Reinhold, ormai stai dalla parte dei forti»

Logo BBT (tunnel del Brennero)

Come promesso, ampi stralci della risposta, abbastanza pacata per la verità, degli "ambientalisti di professione" alle esternazioni di Messner pubblcata sul quotidiano Alto Adige di ieri 23 novembre e non reperibile in rete.

di Massimiliano Bona

[...]

Peter Ortner, presidente dell’Heimatpflege, arriva subito al punto. «Messner è un bravo alpinista, e questo gli è unanimente riconosciuto, ma non può certo essere considerato un verde nell’animo, un protezionista. I primi dissidi sono iniziati ai tempi dell’Alemagna (autostrada di Alemagna N.d.F.), osteggiata da tutti gli ambientalisti ma non da lui. Poi si sono acuiti quando, negli anni Settanta, vi fu la proposta di realizzare il parco Puez-Odle in val di Funes. Furono in 5.000 a firmare per il parco e lui rimase isolato. Il suo sostegno al Bbt (tunnel del Brennero N.d.F.) è cosa nota, mentre mi spiace il suo sostegno all’impianto di risalita tra Martello, Madriccio e Solda. Siamo ai margini di un parco, ma anche in questo caso il re degli Ottomila è su altre posizioni. Sta dalla parte dei potenti e non l’ho mai considerato un Verde».

Pierluigi Gaianigo, figura storica del Wwf bolzanino, è perplesso. Preferirebbe non parlare, ma poi - pungolato - non fa nulla per nascondere il suo pensiero. Che non è positivo, a parte la breve premessa. «Non voglio sminuire il mito di Messner, personaggio indubbiamente affascinante e grande alpinista, ma a volte si lascia davvero andare a giudizi sommari e affrettati. Non ha ancora capito, probabilmente, che in talune circostanze il silenzio è d’oro. Poi cosa vuol dire fare gli ambientalisti di professione? Io sono prima di tutto un medico, che si batte da anni per cercare di preservare ciò che mi circonda».

Gaianigo, quindi, affonda la stilettata. «Messner non è mai stato un ambientalista vero. I musei, ormai, li ha già realizzati e forse si sente riconoscente nei confronti del partito da sempre al potere, che ha consentito che ciò avvenisse. Non so fino a che punto, oggi, il suo pensiero, possa essere considerato libero da condizionamenti».

[...]

Markus Lobis (leader di Transitinitiative N.d.F.): «Quando leggo, ciclicamente, le sue esternazioni mi viene istintivamente da ridere. Il suo pensiero cambia, non è prevedibile, un po’ come il tempo nell’era dei cambiamenti climatici. Devo dire che non mi stupisco più e che soprattutto non riesce nemmeno a sorprendermi. Non riesco a capire il messaggio che vuole lanciare e soprattutto fatico ad individuare il suo nuovo target di riferimento. Ha contribuito, con il suo pensiero, alla crescita del movimento Verde, ma con il passare degli anni ha confermato di non essere portato per il gioco di squadra. Degli altri si interessa poco o nulla, preferisce andare avanti per la sua strada. È una scelta legittima, che mi lascia però indifferente».

Cristina Kury, per diversi anni sua compagna di partito, mette le mani avanti. «Nel 2000 abbiamo firmato una sorta di patto di non belligeranza: Messner è libero di dire ciò che vuole e noi, come gruppo Verde, non intendiamo replicare alle sue esternazioni per evitare di dare vita ad una spirale senza fine».

Poi, però, anche la consigliera provinciale qualcosa dice: «Nel periodo che ha trascorso al Parlamento europeo il suo pensiero è mutato, è stato in qualche modo influenzato. E lui di riflesso è cambiato. Ciò non toglie che i rapporti, tra noi, siano ottimi. Le discordanze ci sono sempre state e sempre ci saranno. Però su alcuni grandi temi siamo ancora sulla stessa lunghezza d’onda. Un’ultima considerazione: non mi sento un’ambientalista di professione».