mercoledì 15 luglio 2009

La valle incartata

Val di Non - foto Loriz che ringrazio.
Da guardare in grande, merita: è una delle foto più belle della valle in che ci sia circolazione (strumento lente di ingrandimento)

Val di Non, o per meglio dire val Melinda: una bella valle che ha fatto della monocultura delle mele la sua principale fonte di reddito. Mele, mele, e poi ancora mele: sempre più territorio sottratto al prato, al pascolo, ad altre coltivazioni. Nuovi cultivar e forse anche il cambio climatico permettono di espandere i meleti verso l'alto, in montagna, dove finora i frutti non maturavano. Ma iniziano a saltare all'occhio i limiti di questa monocultura che sacrifica ai pomi la diversità territoriale, la biodiversità, il patrimonio naturalistico e la bellezza del paesaggio. La notizia che anche i "Pradiei" saranno convertiti alla frutticoltura ha provocato alcuni accorati interventi sul quotidiano di Trento "L'Adige": "Gli accorti e lungimiranti nonesi hanno ben pensato di devastare anche quest'area nel nome della «dea mela» consentendone coltura intensiva e, va da sé, tubazioni per le irrigazioni, migliaia di pali in cemento e, com' è facile pensare a quasi 1.000 metri, chilometri e chilometri di splendide reti antigrandine nere o bianche." scriveva quest'autunno Elena Pasquazzo, e Anna Basile le fa il controcanto: "ho letto con apprensione l'articolo sull'Adige di sabato scorso che parla dell'imminente sviluppo della frutticultura sulla magnifica zona dei Pradiei, un'oasi di bellissimi prati fra i paesi di Romeno e Fondo. Il rischio è di deturpare un paesaggio unico in Val di Non con orrendi impianti di meleti, migliaia di pali di cemento e reti antigrandine. Sono inoltre preoccupata per la mia salute poiché sulla stessa pagina dell'Adige leggo un altro articolo allarmante che parla della pericolosità per l'uomo dei fitofarmaci usati sui meleti." (Il problema dei fitofarmaci è molto serio, non ne parlo qui altrimenti allungo troppo il brodo, e un blog non è fatto per i gli articoli lunghi)

Tutto gira attorno al pom, tutto richiama el pom, addirittura una concessionaria di auto ha pensato bene di chiamarsi "Golden Car" e di esporre come insegna una mela golden con le ruote. Vuoi mai che qualcuno si scordi, appunto, la mela d'oro!

A dire la verità in primavera, quando i meli fioriscono tutti insieme, lo spettacolo è splendido. Ettari ed ettari trasformati in una nuvola bianca, milioni di api al lavoro, vista dall'alto la valle sembra un enorme campo di ovatta. Ma la primavera passa, arriva l'estate, e con l'estate i temporali. E la grandine. Che spesso falcia, a strisce, intere zone della valle, rovinando il raccolto della stagione e, se la grandinata è cattiva e rovina le piante, anche quello delle stagioni successive. E quindi?

E quindi si incartano i frutteti con le reti antigrandine. Costose, non sempre efficaci, e, diciamolo, orribili:

Secondo i frutticoltori non c'è alternativa: l'unico modo valido per proteggere dalla grandine i frutteti è quello delle reti antigrandine. Salvano il raccolto e quindi il guadagno dell'agricoltore e salvano il lavoro dei consorzi, dei centri di lavorazione della frutta, dei magazzini e dei magazzinieri, dei raccoglitori, dei cernitori, degli spedizionieri, cosa che le assicurazioni non fanno. Niente mele vuol dire niente lavoro e quindi cassa integrazione. Funziona sempre lo spettro della cassa integrazione.

Lo Stato e la Provincia intervengono massicciamente con contributi per alleggerire il costo delle assicurazioni, ma la crisi mette in dubbio per quest'anno la quota statale, e la provincia di Bolzano sta attendendo le scelte di Roma per decidere le quote ed aprire il portafoglio. Non so cosa stiano facendo a Trento ma immagino la stessa cosa.

Secondo il presidente della potente lega dei contadini di lingua tedesca, il Bauernbund, le reti sono l'unico valido ausilio  contro la grandine nonostante l'installazione delle coperture sia piuttosto costosa, 20 mila euro all'ettaro a cui vanno aggiunte le spese di rinnovo dell'impianto, ovvero "lavorazione del terreno, impalcatura, ancoraggi e ovviamente il costo delle piante da mettere a dimora.(*)"; e nonostante l'amministrazione provinciale non ne sponsorizzi l'installazione, nella valle dell'Adige il 30% dei meleti è ormai coperto.

L'altro giorno si è scatenato un bel temporale, e l'Alto Adige così commenta: "I chicchi ghiacciati hanno colpito parte dal fondovalle, in prossimità del campo sportivo e del Lido fino verso il paese, poco sotto l’abitato della frazione di Sella, mentre verso nord ha lambito quasi il Lago di Caldaro. Gli effetti sono stati disastrosi: il danno, che inciderà più sulla quantità che sulla qualità, si aggira, in certe zone del fondovalle, anche fino all’80%. Per fortuna che oltre un quarto dei meleti della zona di Termeno sono protetti da reti antigrandine. In questo modo è salvaguardato il raccolto e garantito il lavoro presso le varie cooperative frutticole." Pare chiaro che cosa ne pensi l'articolista delle reti antigrandine.

Ogni tanto poi arriva una grandinata di quelle con i controfiocchi, le reti raccolgono la grandine nelle loro pance, si piegano, si spaccano e con loro spaccano le piante che dovrebbero coprire facendo un macello. Il microclima sotto le reti cambia rispetto all'aria aperta, i frutti non prendono colore e bisogna scappellarli una quindicina di giorni prima della raccolta, chissà se sorgeranno altri funghi o malattie che finora non colpiscono i pomi in plen air.

Io cosa ne penso? Capisco i contadini, eccome li capisco. Non c'è assicurazione che ripaghi un anno di fatiche sprecate in un raccolto perso per la grandine. Ma camminare in un paesaggio incartato fa impressione.

Il problema non è, secondo me, reti si o reti no, ma la monocultura a pomi. Pomi, pomi, e ancora pomi e solo pomi e ovunque pomi, coperti da reti. Al posto dei pascoli, reti. Al posto degli orti, reti. Campi non ce ne sono più, solo pomi e reti e fitofarmaci. Turismo? E chi diavolo va in vacanza in una zanzariera?
 

Il problema è non diversificare gli investimenti, non monopolizzarsi su una risorsa e a quella risorsa sacrificare tutto: biodiversità, ambiente, paesaggio, salute. (Cio ho perso uno zio, anni fa, ammazzato dai fitofarmaci!). Non incartare anche l'economia della valle nelle reti delle lobby dei consorzi agricoli e dei latifondisti, dei magazzinieri e dei trasportatori, non incartarsi su sé stessi fino a perdere di vista ogni alternativa.

"[...] Lo scenario rilassante della zona dei Pradiei" prosegue la signora Basile "consente oggi passeggiate incantevoli e riconvertire quella che rimane una delle ultimissime zone aperte della Valle, significa cambiare il volto stesso dell'Alta Valle di Non, costringendo noi turisti a cercare altre luoghi per le nostre vacanze." Importerà a qualcuno? Finchè el pom tira, si vende, porta guadagno, non fregherà bellamente a nessuno. Salvo il brivido gelato corso lungo le schiene dei contadini per il colpo di fuoco batterico, che pareva far strage di meli un paio di anni fa, o lo scopazzo, malattie del melo che fan venire in mente la peronospora che nel 1845 aggredì l'unica varietà di patata coltivata in Irlanda in quegli anni, distrusse il raccolto di alcune stagioni consecutive e fu una delle concause della carestia e della fame che spinsero due milioni e mezzo di irlandesi a emigrare oltre l'Atlantico.

 

(*) Georg Jageregger, presidente della sezione della Bassa Atesina del Bauernbund, al quotidiano Alto Adige dell'8 luglio scorso.

14 commenti:

  1. Bentornata girovaga, gran bel post e belle foto: dal punto di vista tecnico, intendo.
    Proprio un bellissimo ospedale, tutto asettico e perfettino! (sob)

    RispondiElimina
  2. come forse (non) sai, attualmente lavoro nella frutta.
    il tuo post però non può che trovarmi daccordo, per fortuna qui il distretto frutticolo non è monocolturale, ma spaziamo dalle mele (e si stanno anche recuperando le vecchie varietà locali) ai piccoli frutti, passando per kiwi, pesche, nettarine e tutto il resto del campionario.
    la grandine fa paura, io da bambina ho visto solo una volta mio nonno (frutticoltore per tutta la vita) piangere, quel giorno che grandinò appena prima dell'inizio della raccolta delle mele e portò via tutto, senza speranze di salvezza

    RispondiElimina
  3. molti anni fa, (quasi 30) quando a Bologna frequentavo la facoltà di agraria, si parlava della val di non come di un disastro ambientale pressochè irrecuperabile. Suoli talmente inzuppati di fitofarmaci che se anche si fosse smesso all' istante di utilizzarli per decine di anni i terreni non sarebbero tornati puliti. Non so se fosse vero o no però sono sicura del fatto che NON hanno smesso di utilizzarli.
    La mela è una delle colture più trattate e molti dei trattamenti sono "cosmetici" nel senso che non contrastano patologie che influiscono sulla commestibilità e qualità organolettica del frutto ma che influiscono sul suo aspetto. Le mele ormai troppe, o son belle o non si vendono. Fino a quando continueranno ad essere una coltura abbastanza remunerativa rispetto alle altre temo non ci sarà scampo.
    Forza mangiamo patate! ;))

    RispondiElimina
  4. Intanto grazie per l'elogio alla foto :-)

    Che dire, io ci vivo nella valle "incartata" e da quando vidi il preoccupante aumentare delle reti antigrandne mi chiesi se un giorno aremmo dovuto vedere il cielo a quadrettini, mi a tanto di si.
    Smarano, 1000 m. di altitudine, vocata per tradizione alla zootecnia, sta per essere colonizzata a sua volta dal "pom";
    gli allevatori di Smarano fecero un appello alla Provincia affinché risparmiasse le loro campagne mantenendole a pascolo preoccupati perché l'erba si sarebbe inquinata e di conseguenza anche il latte. Nulla da fare, l'appello è caduto inascoltato.
    C'è, a dire il vero, qualche impianto di ciliege in quel di Smarano, ma che a sua volta è ricoperto di reti per la protezione dagli uccelli, quindi poco cambia in termini di impatto visivo.
    Ne avrei ancora da scrivere ma mi fermo qui, pensando a quei tempi in cui era verde la mia valle.

    ciao Loriz

    RispondiElimina
  5. Il post fa riflettere... cosa di più sano di una mela al giorno? la spinta alla produzione ed al consumo massimizzano la monocoltura, e le sue conseguenze.

    RispondiElimina
  6. Condivido sulla foto della Val di Non, veramente bella. Il problema è la monocoltura più che le reti. Non solo dal punto di vista biologico ma anche economico. Se smettessimo (e lo possiamo fare) di mangiare "pomi", cosa succederebbe?

    Lo so che non centra nulla ma invio ulteriormente un link sugli impianti San Martino-Passo Rolle. Qualcosa si è sbloccato in senso positivo e sembrerebbe che i laghi di Colbricon siano salvi. Ma mai abbassare la guardia !! C'è sempre il pericolo!!

    Leggete qui:

    http://www.lavocedelnordest.it/articoli/2009/07/15/2201/san-martinorolle-il-parapubblico-salva-la-ricapitalizzazione-ghezzi-boccia-la-cremagliera

    RispondiElimina
  7. Ah son tornata, equipaje? Son mica sicura.. ;)

    RispondiElimina
  8. Me lo immagino il tuo nonno, marzia :(

    Infatti e' semplice starnazzare contro le reti e occuparsi di ben altro per vivere. E' tutto il meccanismo che e' sbagliato, non le reti. La monocoltura, i consorzi che obbligano gli iscritti a installarle, che premono per ottenere altri terreni, che impongono standard, pezzatura, quantità, le tonnellate di fitofarmaci (mi viene in mente il film dei Simpson, quando isolarono la città inquinatissima sotto la cupola di vetro), i guadagni che non sono mai abbastanza. C'e' una bella differenza fra il raccolto del tuo nonno e i consorzi frutticoli o i latifondisti nonesi.

    Buon lavoro, marzia. Venisse in mente al tuo distretto di coprire tutto con le reti, mandali a fare un giro da queste parti, che immaginare non basta, bisogna vedere per rendersi conto.

    RispondiElimina
  9. Vera, siam sicuri di non comprare fitofarmaci anche con le patate?

    uff!

    (molto interessante la tua osservazione sui fitofarmaci cosmetici. Anche noi consumatori siam delle brutte bestie capricciose eh!

    RispondiElimina
  10. Loriz, se hai voglia, scrivi qui quel che mi hai detto su msn in proposito, o quel che ti viene in mente di scrivere, che tu ci vivi fra pomi e pomicoltori.

    (lo dico mica solo io che la foto e' bella ;)

    RispondiElimina
  11. GP, pensa che per una mela al giorno stiamo inqinando il mondo (fa quasi rima uguale)

    E le vogliamo anche belle colorate così, grandi colà, lucide costì.. in compenso saporite conta un po' meno.

    RispondiElimina
  12. Guarda, Anonimo, me lo son chiesto: che succederebbe in val di non se non si mangiassero piu' pomi, o se per qualche malanno morissero tutti?

    Sarebbero cazzi, altroche'.

    (la storia del Rolle la sto seguendo attentamente: speriamo sia il segno di svolta :) Ma hai ragine: su con le rece che basta un attimo.

    E se qualcuno pensava che UNESCO volesse dire basta devastazioni, segua queste pagine nei prossimi giorni :(

    (tu scrivi pure dove vuoi e segnala, se sei OT rispetto al post non lo sei rispetto al blog)

    RispondiElimina
  13. bella questa, devo fare una lezione su frutticoltura e paesaggio, cercavo delle immagini ed il primo link uscito fuori su google mi ha portata qui...
    mi divertirò a mettere a confronto il trentino alto adige melicolo/turistico ed il tema di questo post

    RispondiElimina
  14. marzia se ti servono foto piu' in grande volentieri! O qualsiasi cosa possa reperirti in zona (non saprei cosa, tu chiedi magari si trova)

    ciao :)

    RispondiElimina